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Mamma e autistica: sfide, punti di forza e una potente testimonianza.

  • Immagine del redattore: corsigruppoempathi
    corsigruppoempathi
  • 5 ago
  • Tempo di lettura: 12 min

Se l’esperienza delle donne adulte autistiche è ancora poco studiata, quella delle madri autistiche soffre ancora di più di un mancato ascolto e comprensione. Ma essere una donna autistica può coinvolgere anche questa fase di vita: i vissuti delle mamme nello spettro sono unici e come tali vanno ascoltati. Alcune caratteristiche tipiche dell’autismo possono aiutare i professionisti e la società tutta nel comprendere, da un punto di vista generale, i punti di forza e le sfide che rendono la maternità un’esperienza forse ancora più sfaccettata per queste donne.


Gli studi sul tema sono, appunto, ancora pochi: uno in particolare, quello descritto dall’articolo “Intense connection and love: The experiences of autistic mothers”, riporta in modo molto approfondito l'esperienza di nove madri autistiche, che hanno risposto a una serie di interviste semi-strutturate. Uno degli aspetti più interessanti è che tali interviste erano state create in collaborazione con due genitori autistici, nella consapevolezza che chi condivide un certo modo di fare esperienza può meglio immaginare quali domande possono far emergere i temi più rilevanti, che in questo studio sono quattro, di seguito descritti.


L'autismo ha un impatto fondamentale sulla genitorialità.


Le persone intervistate nello studio hanno riflettuto su come l'essere autistiche fosse una parte fondamentale della loro persona e, di conseguenza, anche della loro esperienza di genitorialità.


Ogni persona autistica ha punti di forza peculiari, che spesso hanno a che fare con un profondo amore per la conoscenza: per alcune mamme nello spettro la genitorialità diventa un interesse assorbente, portandole a fare ricerche approfondite sul tema.


La necessità di pianificazione della quotidianità e di routines prevedibili, caratteristica tipica dell’autismo, può offrire ai bambini costanza e sicurezza, anche se per alcune mamme tali routines possono essere difficili da costruire a causa del sovraccarico di impegni e richieste che comporta la genitorialità.


Sfide peculiari che una mamma autistica può trovarsi ad affrontare sono la difficoltà a socializzare con altri genitori, a causa delle differenze sociali e comunicative, e i cambiamenti del corpo durante la gravidanza, a causa delle particolarità sensoriali.


Un altro fenomeno riportato dalle partecipanti allo studio è stato quello della forte, travolgente connessione ed empatia emotiva per i/le figli/le. Ciò è in linea con la ricerca che suggerisce che, sebbene le persone autistiche possano avere qualche difficoltà con l'empatia cognitiva (assunzione di prospettiva), hanno un'accresciuta empatia emotiva (sentire direttamente le emozioni che un altro sta provando).


La maggior parte dei figli delle partecipanti aveva una diagnosi nello spettro autistico: condividere lo stesso modo di essere dei loro bambini può aiutare le madri a sentirsi più vicine e connesse a loro, e a comprenderne i bisogni in modo profondo.


Condividere lo stesso modo di essere dei loro bambini può aiutare le madri a sentirsi più vicine e connesse a loro, e a comprenderne i bisogni in modo profondo.
Condividere lo stesso modo di essere dei loro bambini può aiutare le madri a sentirsi più vicine e connesse a loro, e a comprenderne i bisogni in modo profondo.

Battaglie per il giusto supporto.


Molte delle difficoltà che le madri autistiche incontrano hanno a che fare con il non poter accedere a un sostegno adeguato per loro stesse e per il/la proprio/a figlio/a, e con l’essere sottoposte a giudizio e stigma: tutte le partecipanti allo studio hanno affermato di sentirsi spesso incomprese, giudicate o respinte, purtroppo anche da professionisti sanitari, a causa degli stereotipi negativi sull'autismo che ancora persistono.


Capitava anche che le partecipanti fossero giudicate positivamente dalle persone intorno a loro, e viste come molto brave a fare il genitore, talvolta proprio per quei punti di forza peculiari legati alle caratteristiche dell’autismo stesso. Ciò, unito al fatto che le persone autistiche possono trovare particolari difficoltà nell’esprimere emozioni e bisogni, portava sfortunatamente familiari, amici e professionisti a credere che non vi fosse bisogno di offrire supporto a queste madri.


Una mamma nello spettro che interagisce con professionisti che non sono a conoscenza della sua diagnosi può avvertire in modo particolarmente forte la pressione di mascherare i tratti autistici e conformarsi alle regole sociali non scritte. Tuttavia, rivelare la diagnosi a volte può creare ulteriori interpretazioni errate o giudizi negativi. Su questo aspetto c'è un forte bisogno di formazione e aggiornamento da parte dei professionisti sanitari, che per primi portano avanti stereotipi e visioni stigmatizzanti che nulla hanno a che fare con la realtà.


Sviluppo e accettazione.


Ricevere una diagnosi di autismo permette di aumentare la comprensione e la cura di sé, ingredienti importanti anche nell’esperienza di genitorialità.


Tutte le partecipanti allo studio avevano ricevuto una diagnosi dopo essere già diventate mamme. Prima della diagnosi alcune si sentivano in colpa per le loro difficoltà e l’impatto di esse sui loro figli. La diagnosi ha portato a una rielaborazione delle esperienze in modo positivo, riducendo il senso di colpa, aumentando l'accettazione di sé, permettendo loro di sentirsi diverse, non sbagliate, e dando loro il “permesso” di chiedere e accettare supporto.


La maternità può richiedere di affrontare cambiamenti importanti, e ciò è solitamente complesso per una persona autistica. Le partecipanti allo studio hanno però notato come la genitorialità le abbia aiutate ad accettarli maggiormente, facendole sentire orgogliose di loro stesse.


Gli alti e bassi della genitorialità.


Per le madri autistiche, la connessione, il legame e l’amore per i propri figli possono essere particolarmente travolgenti, sia che tale connessione si sviluppi subito, sia che richieda del tempo. Molte partecipanti allo studio hanno descritto il prendersi cura dei loro figli, insegnare loro cose nuove e vederli crescere, come un’esperienza piacevole e divertente.


Le difficoltà più diffuse riguardano invece la mancanza di sonno e l'allattamento al seno. Inoltre, molte donne autistiche testimoniano di aver vissuto esperienze di violenza ostetrica, che spesso restano esperienze traumatiche delle quali non riescono a parlare con nessuno per il timore di non venire credute. Di nuovo, torna la pressante necessità di una formazione di tutte le professioni di cura sul tema dell'autismo e della genitorialità.


Molte delle partecipanti hanno inoltre parlato anche dell'impatto emotivo della genitorialità, legato spesso al sentirsi non abbastanza brave e di conseguenza in ansia, in colpa o spaventate.


Conclusione


L’esperienza della maternità per le donne autistiche è, per certi aspetti, diversa da quella delle donne non autistiche, e come tale deve essere ascoltata, per evitare incomprensioni e stigma, soprattutto da parte di professionisti sanitari. Infatti, è solo quando avevano incontrato professionisti specificatamente formati sull’autismo femminile che le partecipanti allo studio riferivano di essersi sentite rispettate nei loro bisogni e in quelli dei loro figli.


Ciò evidenzia la necessità di migliorare gli standard di formazione e comprensione dell'autismo all'interno dei servizi sanitari generali, e in particolare nei servizi rivolti alla salute materno-infantile. È importante che le persone autistiche stesse siano coinvolte nella creazione di tali formazioni, e che sia proposta una narrazione di differenza, piuttosto che di deficit, pur nel riconoscimento delle difficoltà specifiche.


mamma che abbraccia il suo bambino
L’esperienza della maternità per le donne autistiche è, per certi aspetti, diversa da quella delle donne non autistiche, e come tale deve essere ascoltata, per evitare incomprensioni e stigma, soprattutto da parte di professionisti sanitari.

Vi invitiamo ora come Gruppo Empathie+ a leggere questa meravigliosa testimonianza di una mamma autistica, nostra paziente, che ha voluto condividere pubblicamente la propria esperienza:


Sono una madre autistica e ne sono fiera


Donna, madre, scrittrice, autistica.

Autistica? Ma non sembri autistica.

Tu? Autistica?

Ma cosa stai dicendo? 

 

Poi nel silenzio del sottinteso, che - pur se non lo accolgo con le parole, nel mio corpo lo sento - arriva il giudizio. Sta nell’aria, una cosa imprecisa, pesante.

 

È un po’ il tema corrente quando si tratta di qualsiasi discorso psicologico. Come se l’autismo fosse una patologia (per tanti ancora lo è!) e non un modo di essere. Per tanti, viene messo con altre cose della salute mentale. E lì sta il problema. Spesso non so neanche cosa dire perché tante volte non si sa cosa significa ‘autismo’. O si pensa di sapere pensando ai bambini.

 

Ma tu? Autistica? Poi: ma perché vuoi un’etichetta? Chi? Io? Ma se di etichette ne ho avute una valanga, almeno questa sarà quella giusta! Ho un nome per chiamare come mi sono sentita per quasi 50 anni. Non devo usarlo?

 

E quel sostegno che ti potrebbe arrivare se dovessi romperti una gamba? Perché di solito se sei arrivata ad una diagnosi ci sarà un motivo, e spesso, come nel mio caso, questo motivo è un bel burnout. Quel sostegno non ti arriva. Perché nessuno capisce veramente cosa significa essere autistica. Poi non c’è nulla di concreto, come se fosse una gamba rotta che da fuori non si vede. A volte lo spieghi. A volte rinunci perché sei stanca di doverti sempre spiegare. A volte non cominci neanche. Dove si comincia poi?

 

C’è da dire che dal punto di vista della storia della psicologia non abbiamo avuto terreno facile. Sono da sempre le madri ad essere colpevoli per l’autismo dei figli. Si chiamavano “madri frigorifero”: erano fredde, prive di emozioni. Erano loro la causa dell’autismo nei bambini maschi. E le bambine? Quasi inesistenti. Poi i test erano tutti fatti per i maschi, e così le femmine sono rimaste invisibili per anni.

 

Io sono una di quelle bambine, nata all’inizio degli anni '70, cresciuta, criticata, giudicata, incompresa.... finché sono arrivata a Valentina. Che mi ha detto che lo vedeva subito, vedeva che ero autistica. È stata la prima persona che mi ha vista davvero. Non solo, vedeva anche chiaramente che sono anche ADHD e APC, cioè ho un’alta potenzialità cognitiva. Sottolineo che si tratta di potenziale. Tutti i fiori appassiscono se non hanno la luce giusta, il corretto dosaggio di acqua, un nutrimento sano. Quindi ho una tripla eccezionalità, come dicono. Tre cose che mi rendono un po’ diversa dalla persona neurotipica. Non che non lo sentivo. Io mi sono sentita un po’ diversa da anni, da sempre.

 

Ho avuto due figli. Ho fatto fatica, poi ho fatto tanta fatica e tanta fatica ancora. Ho rinunciato al mio lavoro nel cercare di stare a galla. Non ho la mia famiglia d’origine vicino. Sono sempre stata da sola, tranne che per mio marito. Ho cercato di tornare al lavoro dopo la nascita dei miei figli ma non riuscivo mai conciliare famiglia e lavoro. Ho provato ma sono arrivata a fare un burnout e quindi sono rimasta a casa.

 

Sono rimasta a casa e quindi dipendente economicamente da mio marito. Sono figlia di mia madre, una donna degli anni '70, e non vi dico quanto questa cosa di essere dipendente da mio marito mi urti ancora. È come una parte della mia identità che mi manca.

 

Quando ho ricevuto la mia diagnosi, volevo dirlo a tutti. Ero felice. Finalmente sapevo chi ero. Era come ricevere un nuovo cappotto bellissimo su cui c’era scritto in fili preziosi di colori brillanti proprio chi sono. Mi sentivo come se avessi una corona in testa.

 

Poi sono passati un po’ di mesi. Vedevo un po’ di più la realtà che avevo intorno. Finalmente appartenevo a me stessa, ma non appartenevo alla società. Cioè, vi appartenevo se non davo tanto fastidio, un po’ come funzionava da sempre. Non dirlo a tutti, non dire tutto, non si può dire tutto a tutti. Mi sentivo come se ci fosse una nuvola nera sopra di me. Dentro mi saliva la rabbia. Perché non dovrei dire chi sono?

 

Sapevo già la risposta. Perché sono donna e sono madre. Il solito patriarcato. Arrivi ad una certa età e lo conosci a memoria. Fai la brava bambina, fai la brava ragazza, fai la brava donna, fai la brava madre.

 

Ho imparato con gli anni a fregarmene. Ho imparato con gli anni che certe cose non dipendevano in tutto e per tutto da me, che c’è un intero sistema pronto a criticarmi, a giudicarmi, ma io ora so chi sono.

 

Se stai fuori dai cancelli di qualsiasi scuola, impari un sacco di cose; è un po’ un microcosmo del mondo. Si capisce pure quanto è viva questa cosa della critica e del giudizio anche fra le donne. Quella ha fatto così, quell’altra ha fatto così.... Alla fine ho mandato a scuola i miei figli con il pullman. Non ne potevo più di tutte queste chiacchiere inutili, di fare tutto questo small talk! 

Mi veniva male, dicevo la cosa sbagliata oppure mi annoiavo da morire. Chi si ricordava cosa mangiavano i miei figli a mezzogiorno quel giorno? Figurati, io che avevo pure perso il foglio dove mi segno le cose da fare in giornata! Il fatto che mangiavano non era già più che sufficiente? Con tutti i bambini che vivono in povertà e altri che muoiono di fame mi sembrava un po’ ridicolo discutere di queste cose. Non c’è altro di cui si può parlare? Poi dimenticavo di consegnare i moduli, di portare i soldi per le varie gite. Sono convinta che a volte mi guardavano come se fossi una pazza.

 

Il risultato? Ero una cattiva madre. Pur combattendo con tutto ciò che avevo per tenere salda l’idea di me stessa, questa visione di me un po’ alla volta entrava. È una cosa che ho assorbito nel tempo senza quasi accorgermi. In parte.

 

L’altra parte di me viveva in un mondo parallelo con i miei figli. Facevamo un sacco di cose insieme. Passavamo ore al tavolo della cucina a dipingere, a me non dava fastidio il disordine. Tanto quella più incasinata ero io. Cercavo di dare ai miei figli l’infanzia che avrei voluto io. Quella dove si possono avere le mani nella tempera fino alle ascelle, dove nessuno ti dice che devi stare tranquilla e buona, dove posso correre, saltare, urlare, cantare, far finta di essere la regina di Scozia e recitare le battute delle poesie, della letteratura che leggevo ma non ancora lo capivo.


Ero stata precoce nel leggere. Vivevo in un mondo tutto mio dove ero tutte le protagoniste di ciò che leggevo e vedevo, e dove potevo essere la regina di tutti. Nel mio mondo comandavo io, non perché ero prepotente, ma perché così ero sicura che potevo essere me stessa, in libertà. Ero curiosa, volevo provare, volevo capire.

 

Ho cercato di ricreare tutto questo con i miei figli. Andavamo in giro a fare dei viaggi, anche organizzandoci all’ultimo, perché volevo fargli vedere tutto. Come io da piccola sognavo di scoprire il mondo, volevo dare a loro questa possibilità. E stavamo bene. Nonostante tutta la fatica, ora ho dei ricordi bellissimi.

 

Ho da poco seguito una conferenza online con Isabelle Hérault dove parlava del legame forte che esiste fra madri autistiche e i loro figli e mi ci sono ritrovata moltissimo. Conosco bene questo legame. Per me è una cosa che appartiene alla natura, una cosa che sento di pancia. Io sono la leonessa e loro sono i miei cuccioli. È sempre stato così.

 

Mi basta uno sguardo quando mio figlio scende dal pullman della scuola per capire com'è andata la mattina, come devo comportarmi, i piccoli aggiustamenti che devo fare per farlo stare tranquillo. Quando erano piccolini, leggevo tutti i libri sulla maternità e come crescere i bambini. Dopo un po’ li ho buttati via. Forse già allora capivo che non erano libri adatti a me, al mio modo di essere; forse ero stufa di sentirmi inadeguata. Quando sentivo dentro di me cosa era giusto fare, andava meglio.

 

Oggi quei bambini sono diventati grandi. Hanno cominciato già a staccarsi da me. Se lo penso razionalmente so benissimo che è una cosa che deve accadere e sono felice per loro. A livello emozionale faccio più fatica. Abbiamo vissuto diversi anni insieme, poi io ero sempre a casa e quindi l’abitudine dello stare insieme c’è ancora di più. Fin da quando erano piccoli e giocavano fuori sapevo che tutto quello che vedevo davanti i miei occhi sarebbe un domani finito.

 

Adesso so che se ho fatto così tanta fatica è perché c’è stato un sistema che non mi ha aiutata. Per prima cosa non ha capito chi fossi. Se sono stata da sola c’è anche una cultura della maternità che dice che per le madri deve essere così, senza se e senza ma, e che giudica senza sostenere. Ho avuto un figlio e tutti parlavano di lui. Io sono diventata ‘la madre di’, come se avessero dimenticato il mio nome. Ho avuto pure la febbre a 40 e mi dicevano di continuare ad allattare. Donna, ti sacrificherai e sarai sacrificata. Ci sono rimasta male. Mi sono sentita un fallimento come madre. Ora so che il sacrificarsi non ha nulla a che vedere con l’essere madre. Una madre deve stare bene. Un figlio deve stare bene. Punto.

 

È per questo che ora posso guardare indietro e finalmente sorridere un po’. Posso voler bene a quella giovane madre che faceva così tanta fatica e che si sentiva così invisibile... Chiedevo aiuto ma nessuno mi ascoltava. Ho chiesto supporto al sistema sanitario più di una volta. Ho dovuto combattere, e anche tanto, per fare sentire la mia voce quando tutti non la volevano ascoltare. Ho imparato a non mollare.

 

Oggi so che posso camminare a testa alta. Posso guardare me stessa senza vergogna. Se scelgo di non raccontarmi in certe situazioni è perché è una scelta mia, ora pienamente consapevole. So che esiste un sistema, dei pregiudizi, delle eventuali difficoltà. So anche quali battaglie fare e quali lasciare, quali valgono la pena di essere combattute, e quali lasciar correre. So anche proteggermi, che non è cosa da poco. 

 

Soprattutto, dopo questa lunga strada di consapevolezza iniziata con la diagnosi con Valentina, ho capito una cosa: che certe cose che si leggono, che si sentono sulle madri autistiche non mi appartengono. Se volete conoscere le madri autistiche, andate a conoscerle davvero. Andate a leggere le cose che hanno scritto loro. Sono poche ma ci sono.

 

Sono una madre autistica e ne sono fiera.

 

Siamo madri autistiche e sappiamo raccontarci.


(R.M.)


mamma tiene per mano bambino in riva al mare
"Ora so che il sacrificarsi non ha nulla a che vedere con l’essere madre. Una madre deve stare bene. Un figlio deve stare bene. Punto."

Articolo citato:

Dugdale, A. S., Thompson, A. R., Leedham, A., Beail, N., & Freeth, M. (2021). Intense connection and love: The experiences of autistic mothers. Autism, 25(7), 1973-1984.


Letture utili sul tema:

Spectrum Women – Autism and Parenting (Renata Jurkevythz, Maura Campbell, Lisa Morgan)

 

Autistic and Expecting. Practical support for parents-to-be and health and social care practitioners (Alexis Quinn)

 

Aspergirls. Valorizzare le donne con sindrome di Asperger e condizioni dello spettro autistico lieve (Rudy Simone)

 

Spectrum Women: Walking to the Beat of Autism (Barb Cook & Dr Michelle Garnett)

 

Women and girls on the spectrum, second edition: understanding life experiences from early childhood to old age (Sarah Hendrickx, Jess Hendrickx)

 

Odd girl out: an autistic woman in a neurotypical world (Laura James)





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