Autismo ed empatia: la testimonianza di Giuseppe Marino
- corsigruppoempathi
- 14 ott
- Tempo di lettura: 4 min
“Le persone autistiche non provano empatia!”
Questa è una misconcezione ancora purtroppo piuttosto frequente nel contesto culturale italiano.
Prima di addentrarci nella questione è bene precisare che esistono almeno tre forme di empatia:
empatia cognitiva ovvero la capacità di comprendere cosa sta provando un'altra persona dalla sua espressione facciale, dai gesti, dal tono di voce, dal contesto sociale. Questo livello empatico può essere complesso per le persone nello spettro autistico, che possono cavarsela più per logica che per una vera e propria comprensione intuitiva, tipica invece delle persone neurotipiche;
empatia affettiva o emotiva ovvero la capacità di percepire le emozioni degli altri. In questo livello empatico, le persone nello spettro autistico non solo non hanno deficit ma addirittura mostrano una sensibilità molto più accentuata delle persone neurotipiche, che viene definita ipersensibilità emotiva;
empatia comportamentale ovvero la capacità di rispondere con frasi o comportamenti allo stato emotivo dell'altra persona. In questo caso le persone autistiche possono avere delle difficoltà a reagire con modalità che si adattano alle aspettative del mondo neurotipico, finendo per sembrare persone fredde o insensibili oppure attuando un faticoso masking fatto di risposte comportamentali apprese.
Nel caso vogliate approfondire l'argomento, vi rimandiamo all'articolo che trovate nel nostro blog: Capire l'empatia nello spettro autistico.
In sostanza non è vero che le persone autistiche non provano empatia, semplicemente a volte non riconoscono l’espressione manifestata dall’altra persona e spesso non sanno come comportarsi di fronte all’individuo che manifesta una determinata emozione.
Contrariamente alle credenze sulla carenza del sentimento di empatia nell’autismo, gli individui autistici possono manifestare un’emotività incrementata (Markram et al., 2007). Nell’autismo il 'contagio emotivo' si sviluppa attraverso la risonanza: gli individui autistici “catturano” l’energia emozionale degli altri, entrano in risonanza con loro, e provano le stesse emozioni. Quindi, sebbene possano avere difficoltà ad identificare i segnali emozionali convenzionali, che invece sono facilmente compresi dalle persone neurotipiche, alcuni individui autistici sono molto sensibili alle emozioni degli altri. Così tanto sensibili da non riuscire a guardare un telegiornale oppure un film thriller senza rimanerne profondamente colpiti. O così tanto da diventare arrabbiate se il collega di lavoro della scrivania accanto sta provando questa emozione. Oppure da sentire come proprio (o addirittura come più intenso!) il dolore emotivo di una persona che di frote a loro sta male.
Proprio su questo tema dell'empatia, abbiamo raccolto la testimonianza del Professor Giuseppe Marino, insegnante e vice-preside neurodivergente (con diagnosi tardiva di Disturbo dello Spettro Autistico di livello 1 , ADHD e APC):
«Nella mia quotidianità in una scuola secondaria di secondo grado, riconosco nei miei alunni comportamenti e atteggiamenti che anch’io sperimento: “sento” certa ansia e certi disagi come molto simili a quelli che provo io, in poche parole sono diventato un “rivelatore” di studenti con potenziali neurodivergenze. Riesco a percepire l’ansia nei miei studenti attraverso segni che non sono necessariamente visibili, come una sorta di “aura di disagio” che percepisco; so che sono microsegnali corporei, body language, movimenti delle mani, che io automaticamente elaboro e riconosco mentre i miei colleghi neurotipici non riescono a cogliere.»
Marino parla di ansia e disagi, infatti spesso sono proprio le emozioni negative che caratterizzano maggiormente le esperienze delle persone autistiche, come se avessero un peso emotivo maggiore rispetto alle emozioni positive. Su questo tema, la ricerca ha mostrato che l’esperienza di sentire il dolore di un’altra persona è reale per alcuni individui, e ciò si riflette sia nell’attività dei centri emozionali del cervello (come accade per la maggioranza delle persone) sia in una maggiore attività nelle aree somatiche del cervello, dimostrando che alcune persone possono provare sia la componente emozionale che quella sensoriale del dolore mentre osservano altri che soffrono, e ciò risulta in un’esperienza condivisa del dolore estremamente profonda (Bufalari et al., 2007; Jackson et al., 2006; Osborn e Derbyshire, 2010). Tutto il contrario dell'idea stereotipata dell'autistico insensibile.
Le esperienze possono essere negative, ma Marino è capace di affrontare con una risata chi sostiene che essendo autistico non può provare empatia e decide attivamente di soffermarsi e apprezzare gli scambi positivi:
«Le esperienze positive sono migliaia: sono molto empatico con i miei alunni, racconto delle mie debolezze e difficoltà, e loro si sentono “visti”; c'è un rapporto umano molto bello e profondo, ben al di là della materia che insegno.»
L’insegnante è anche coinvolto nel progetto online AspieProf (assieme a Francesca Bazzoni, insegnante neurodivergente; Cinzia Casacci, insegnante di sostegno; Lucia Pavin, psicologa e psicoterapeuta, vice-coordinatrice di Gruppo Empathie+). L’obiettivo di questo progetto è quello di aumentare la consapevolezza nei confronti della neurodivergenza, aiutando le scuole ad adottare e attuare strategie per accogliere e valorizzare anche gli studenti neurodivergenti:
«Il progetto AspieProf mi è stato proposto dalla Dott.ssa Pasin, che conosceva il mio ruolo di insegnante “consapevolmente neuroAtipico” e il mio impegno nella diffusione della conoscenza sulle neurodivergenze. Da lì è nata l'idea di portare le nostre esperienze personali al pubblico, che molto spesso non conosce le dinamiche delle neurodivergenze negli adulti, soprattutto nel mondo scolastico. AspieProf è un progetto che si sta rivelando molto interessante e con un grande potenziale, in un settore secondo me ancora tutto da esplorare, ossia la consapevolezza delle neurodivergenze negli adulti.»
Gruppo Empathie+ si augura che, anche grazie al lavoro e alla testimonianza di persone come il Professor Marino, si possa superare la visione obsoleta dell'asperger/autismo come condizione caratterizzata da un deficit di empatia e si possa finalmente parlare con rispetto dell'esperienza di vita delle persone caratterizzate da questo modo di essere.




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