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Il legame genetico tra Neanderthal e tratti autistici

  • Immagine del redattore: corsigruppoempathi
    corsigruppoempathi
  • 28 lug
  • Tempo di lettura: 2 min

Una nuova ricerca pubblicata su Molecular Psychiatry ha messo in luce un legame genetico tra il DNA dei Neanderthal, ereditato decine di migliaia di anni fa, e alcuni tratti associati al disturbo dello spettro autistico (ASD).

 

Oggi, le persone di discendenza eurasiatica possiedono circa il 2% di DNA dei Neanderthal, e lo studio dei ricercatori delle Università di Clemson e Loyola, dopo aver analizzato i dati del genoma completo di individui autistici, dei loro fratelli non autistici e di soggetti di controllo, hanno scoperto che alcuni frammenti genetici derivati dai Neanderthal – in particolare quelli coinvolti nella connettività cerebrale – compaiono con maggiore frequenza negli individui autistici (R. Pauly, L. Johnson, F.A. Feltus e E.L. Casanova).

 

Queste varianti sono collegate a una maggiore elaborazione visiva e a una minore attività nelle reti cerebrali legati all’interazione sociale, caratteristiche spesso riportate nelle persone autistiche. Ovviamente questo non significa che il DNA dei Neanderthal causi l’autismo, ma semplicemente aggiunge un ulteriore tassello alla genetica alla base della neurodiversità.

 

Si potrebbe anche riflettere sul fatto che alcune di queste caratteristiche probabilmente erano considerate vantaggiose nelle piccole comunità di allora: l’attenzione ai dettagli, il riconoscimento di schemi, l’acutezza visiva potevano essere dei punti di forza nelle prime società umane.

 

Questa scoperta ci porta anche a concepire l’autismo non semplicemente come una diagnosi moderna – o una nuova moda, come sostengono alcune persone – ma come parte dell’eredità evolutiva umana, una variazione radicata nel nostro passato che ancora oggi caratterizza il modo in cui alcune persone pensano, vedono e interagiscono con il mondo.

 

Non possiamo dire che questa rivelazione sia per noi una sorpresa. L’autismo è sempre esistito. Semplicemente le diagnosi sono aumentate perché sono aumentati gli strumenti e le conoscenze che permettono di identificarlo, in particolare nelle sue manifestazioni più mascherate o compensate (quello che clinicamente è definito come livello 1). Ad essere aumentata è anche la consapevolezza nelle persone che sempre più spesso si interrogano su sé stesse e cercano di capire chi sono e perché reagiscono in un certo modo, tanto più se hanno passato anni di vita a sentirsi diverse e incomprese dalla maggioranza.


Ecco perché le diagnosi sono aumentate soprattutto per quanto riguarda gli adulti e per quanto riguarda il genere femminile o socializzato femmina: bambine, ragazze e donne autistiche, presentando caratteristiche differenti e una maggiore capacità di camuffamento, sono passate inosservate per anni.


donna con mascara colato e un foglio di carta davanti alla bocca con un sorriso disegnato
Bambine, ragazze e donne autistiche presentano una maggiore capacità di camuffamento, col rischio di passare inosservate per molti anni e arrivare quindi a una diagnosi solo in età adulta.

In questi casi il gender health gap (divario della salute in base al genere) che comporta disparità nelle terapie, nella diagnosi e nella ricerca, e il gender blindness (cecità di genere) hanno un ruolo, purtroppo, molto importante nelle mis-diagnosi (diagnosi sbagliate) e missed-diagnosi (mancata diagnosi). Se volete approfondire questo tema, ricordiamo la pubblicazione "Autismo nelle donne e stereotipi di genere" con co-autrice la Dott.ssa Pasin e altre colleghe di Gruppo Empathie+ acquistabile online.

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